Colpi di scena

Sbuffo e smadonno tra me e me, mentre arranco nel bosco scivoloso delle “Fosse Fracasse” per salire al monte Ginepro da Rendinara. Flavio oggi non si sopporta; non si è fatto la sua solita pennichella del mattino in auto e nemmeno ora, dopo più di un’ora di cammino si riesce ad addormentare. Le ha studiate tutte per farci ammattire: acqua, pipì, salame, formaggio, cacca, succo di frutta, altro salame, altra sosta …

 

Sara si è ammazzata di fatica sul primo lungo tratto di sterrata da Rendinara al rifugetto dove c’è il bivio per il Ginepro. Sì perché in realtà mi ero anche fatto i “conti senza l’oste”: essendoci passato una ventina di anni fa mi “sembrava di ricordare” che almeno un tratto della lunga valle del Rio si potesse fare in auto; invece no, appena fatta la prima discesina a mezza costa dalle ultime case del paese, inizia subito una rampa tosta, decisamente da fuoristrada. Pazienza, almeno riesco a parcheggiare in una provvidenziale piazzola laterale.

 

E così con altri 400 metri di dislivello a carico, mi ritrovo ora spalleggiare il pargolo indiavolato per un bellissimo bosco, ormai spoglio e in ombra perenne vista l’esposizione a nord. Sudo come una fontana nell’umido che trasuda anche dalle foglie a terra e fatico come una bestia a mantenere stabile il carico che continua sporgersi all’improvviso da ogni lato; ci scappa anche un battibecco perché, dopo l’ennesima sosta per una “pipì fasulla” (quante volte ci saremo fermati in 2 ore, 10-15?), decido di andare su dritto, senza più fermarmi, almeno fino all’uscita del bosco per trovare uno spiazzo decente per farlo scendere e scorrazzare un po’.

 

Lo so benissimo che per un bambino di 2 anni e mezzo (pure vivace), 2 ore di zaino, se non si addormenta, sono una tortura. Si possono fare gite di 7-800 metri al massimo. Oggi ci è andata male con la sterrata, ma il Ginepro, che fa capolino tra le nuvole, sta lì a un tiro di schioppo sopra le nostre teste, e ci vorremmo proprio andare! Mentre rimugino tra me e me che si potrebbe anche tornare indietro, arriva il colpo di scena.

 

“Giorgio, Giorgio un cinghiale” mi dice Sara che scollina fuori dal bosco appena prima di me. Lo vedo anche io e lo indico a Flavio mentre il maschio solitario scappa tra i massi della conca glaciale dove ci troviamo ora. Si sente in lontananza l’abbaiare dei cani che lo inseguono. Un fremito di paura mi percorre la spina dorsale: sto con un bambino, impacciato nei movimenti, con un cinghiale a cento metri di distanza e i cani che lo inseguono chissà da quanto tempo; ci manca solo che spunti fuori un cacciatore e cominci a sparare! Valuto di salire su un masso un po’ alto e aspettare che passi la bagarre. Ma Sara è serena (non so se perché è “di campagna” o semplicemente perché è incosciente) e Flavio si è quietato; attentissimo a tutto quello che succede, comincia a fare la telecronaca dell’inseguimento. Mentre io procedo “contratto”, con il cinghiale davanti, i 4 Beagle di dietro e la radio nell’orecchio che ripete “i baubau inse..uono il scinghiaaaale”; mamma e figlio se ne fregano alla grande!

 

Poi finalmente, dopo minuti di ansia, il cinghiale gira a sinistra (destra orografica J), i cani, che già me li sentivo sui polpacci, fortunatamente lo seguono; e la giornata, che era partita malissimo, diventa di colpo una meraviglia. In pochi minuti arriviamo al valico che separa il monte Brecciaro (anticima del Passeggio) dal monte Cappello (anticima del Ginepro); di là è una poesia di pascoli ancora verdi, pettinati dal vento del sud, fresco ma non fastidioso. Ci possiamo sedere tranquillamente a mangiare un boccone mentre Flavio, imbacuccato con 2 giacche a vento, continua a fare la conta delle cacche di cavallo e di vacca presenti nella zona.

 

E’ l’una meno un quarto (però, 2 ore e mezzo per farsi 900 metri di dislivello con “l’indemoniato” in collo, non sono niente male!) e so che da buon padre di famiglia dovrei scendere, però sto zitto. Sara pure sta zitta, ma a un certo punto le nuvole si aprono del tutto e compare la cresta del Fragara prominente sulla valle di Femmina Morta, le campagne del Frusinate e addirittura il Circeo con uno spicchio di mare lucente oltre i Lepini. In questi casi tra di noi non c’è nemmeno bisogno di parlare: Flavio è già nello zaino sulle spalle di Sara, il sole è una droga calda che ci spinge a passo di carica verso la meta odierna; dopo cinque minuti Flavio “sviene” di traverso nello zaino e noi raggiungiamo la vetta del Ginepro in quattro e quattr’otto. Ora vediamo tutti gli Ernici, scuri e invernali a nord verso la val Roveto, ma con i dolci pendii verso la Ciociaria, soleggiati e brillanti.

 

Due foto e si riparte, ormai si è capito che le previsioni ci hanno azzeccato e abbiamo fatto bene a partire da Roma seguendo gli orari di Flavio, ma siamo pur sempre con un bambino piccolo a 2000 m. nella stagione con le giornate più corte dell’anno. Ci godiamo ancora il Pizzo Deta e il Passeggio finché siamo in cresta, la luce è splendida; poi giù nell’ombra sul terreno infido e scivoloso del mattino. Flavio ha la consistenza di una sacco di cemento sulla spalla destra, ma almeno non si muove; fortunatamente alternandosi è più facile: portarlo più di un’ora di seguito così sbilanciato com’è, per il trapezio destro è un vero strazio.

 

Dopo un paio d’ore si sveglia, ormai siamo sulla stradina di fondo valle; facciamo una sosta per la merenda e per far riprendere spalle e quadricipiti messi a dura prova dalla discesa ripida. La merenda è una bellezza, dopo la pennica Flavio è ritornato il bambino simpatico, curioso e accattivante che è di solito. Sono solo le tre e mezza, ma sembra già l’imbrunire nel vallone del Rio, incassato e boscoso; il silenzio e la pace ci farebbero fermare qui per sempre. Decidiamo quindi di prendercela con comodo.

 

“Flavio vuoi camminare un pochino? Solo se dai la manina a mamma o a papà, però” Vogliamo fare un esperimento, vedere come se la cava sulla sterrata, ripida e sassosa, che non assomiglia per niente al marciapiede di Viale dei Quattro Venti. Sarei già soddisfatto se si facesse qualche centinaio di metri, ma il piccoletto è uno spettacolo: sostenuto dai moon boot (gentilmente regalati da Giovanni Fante), dopo i primi passi circospetto, trova un letto di foglie dove si diverte tantissimo. E non molla: alterna un passo quasi di corsa dove trova foglie ed erbetta ad uno più cauto dove il terreno si fa più sconnesso. Nei tratti in piano, successivi ai tornanti, lo lasciamo addirittura scorrazzare da solo e non cade mai.

 

E così avviene il secondo colpo di scena della giornata: Flavio cammina, ma cammina sul serio, dei circa 3 Km di strada che ci separano dall’auto, un paio se li fa da solo e sono convinto che, se non fosse stato così tardi (alla fine siamo arrivati all’auto alle 16,30), si sarebbe fatto tranquillamente anche il resto. Poi magari non ripeterà più queste performance perché sarà annoiato, stanco o capriccioso, però noi ora lo sappiamo che lo può fare, si tratterà solo di interessarlo.

 


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