Archeologia industriale di montagna con riuso
Non ero mai riuscito a vederlo aperto il rifugio Rinaldi. Invece con Elisabetta abbiamo trovato il nuovo gestore Emanuele ad accoglierci dopo una classica salita al Terminillo per i Sassatelli. Trovare le porte aperte di un rifugio è sempre un piacere, in particolar modo se a farlo c’è il rifugista che in un tranquillo giorno di settembre riesce a raccontarti della sua avventura imprenditoriale con entusiasmo. Si presenta simpaticamente e ci parla delle sue origini di “maniscalco di Anzio” che è approdato via terra al rifugio trovando, chissà, un’isola felice. La chiacchierata scivola sul problema degli approviggionamenti che riguarda tutti i rifugi e ci spiega che la sua carta vincente sono stati i muli ai quali è passato dopo una lunga confidenza con i cavalli. In un mondo che cerca sempre una soluzione tecnologica ai problemi, mi colpisce questo simpatico ritorno alle origini e come la natura riesce ancora a darci una semplice soluzione al problema. Arriva anche la telefonata del pastore che chiede informazioni sulle sue pecore: ci spiega Emanuele che si aiutano reciprocamente: il pastore butta l’occhio sui muli alla base della seggiovia e lui butta l’occhio alle pecore pascolanti per la montagna realizzando uno strano circolo virtuoso. Dopo la visita alla bella e solida struttura scendiamo alla base della seggiovia monoposto, ormai un residuo abbandonato delle lontane stagioni sciistiche dello scorso secolo. Giunti alla stazione di partenza la troviamo trasformata in stalla con i due muli che ci osservano curiosi. In fondo anche questo un esempio di saggio recupero, oserei dire “archeologia industriale di montagna con riuso”.

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