7 febbraio 2010 - Alle Mainarde per l'ultimo addio
Le luci del raccordo scorrono regolari, non è ancora giorno. Ci aspetta una magnifica giornata di sole in montagna e ci aspettano i nostri amici. Alla Rustica il primo ad arrivare è Lui, con le sue cose già fuori dall’auto pronte per essere caricate sulla nostra. Si porta sempre dietro uno zaino enorme, con dentro tutto il possibile per ogni evenienza: che debba camminare o che debba sciare, ha sempre tanta di quella attrezzatura da riempire mezzo bagagliaio solo Lui. Ma che te sei portato tutta casa? Gli fa Giorgio. E Lui imbarazzato: Ma no, dai, solo l’occorrente. Ci sono Gaspare, Paolo e Patrizia, e poi Giuseppe, Luigi, Marta, Massimo e il nanetto Gass. Frigeri si è dato in forse ma poi, visto il tono sci-alpinistico della giornata, deve aver deciso di rimanere a letto. Lui nel frattempo scambia chiacchiere e saluti con molti dei presenti al parcheggio. Ci sono un gruppo del corso di scialpinismo diretto al Monte di Mezzo e un gruppo di amici che puntano al Viglio e Lui conoscerà la metà delle persone! È fatto così, un compagnone. Stabiliti gli equipaggi si parte alla volta delle Mainarde, Cavallo e Forcellone ci attendono! La macchina è strapiena, ci stipiamo in cinque perché lui è con noi che viene quando facciamo gite insieme, è sempre così. Stavolta però niente racconti personali, privati, perché c’è Gaspare il mattatore ed è tempo di cazzeggio e risate a volontà. Anche quando ci fermiamo a fare colazione nel bar kistchissimo di Atina il clima è allegro. Si parla di arva- io e Paolo dobbiamo fare il grande acquisto, Patrizia l’ha appena fatto tramite il CAI- perché correre rischi farà anche parte di questa disciplina, ma attentare alla propria sopravvivenza è da stupidi. Lui l’arva ce l’ha, me l’ha prestata per il Grossgklocner, vecchia e pesante, ma perfettamente funzionante. Una volta mi ha detto che per cominciare a fare scialpinismo bisogna mettere in conto almeno uno stipendio, ma non ci si pente neanche di un euro. E pian piano quello stipendio sta diminuendo. Prati di mezzo è bianco immacolato e salendo gli abeti sono meravigliosamente spruzzati di neve. Mentre ci prepariamo il freddo ci ghiaccia mani e orecchie, ma così in gruppo ogni particolare, anche muoversi per scaldarsi, è più denso, più vero: é condiviso e ci fa sentire un tutt’uno, si, un unico vitale gruppo, l’armata delle nevi e dei pendii. Infiliamo gli scarponi, li chiudiamo, pelliamo rapidamente e infine clack… facciamo scattare gli attacchi e via! Manca qualcuno? Si, uno di noi si è attardato a spalmarsi il viso di crema solare, ma ci raggiungerà svelto, lo sappiamo, sbuffando e sorridendo come al solito. È la sua prima sci-alpinistica stagionale, deve riprendere un po’ la mano con la velocità dei preparativi dopo tante gite a piedi. In fila indiana cominciamo a salire, fiato corto di inizio gita e gambe buone. Il sole è caldo, i cristalli di neve sugli alberi luccicano, come al Monte Amaro una trentina di gite fa, io, Lui e Giorgio. Molto spesso dettagli richiamano altri dettagli, ricordi e sensazioni di giornate archiviate nella memoria ma vivide come se il tempo non fosse mai passato. Inventammo un nuovo sport quel giorno: il tiro alle pelli, le pelli di Giorgio, che erano appiccicate da qualche mese e che solo la forza di loro due maschi riuscì a scollare! I più allenati ben presto staccano il gruppo, ma non ci sono pericoli tra le gobbe di questo stupefacente gruppo montuoso e ci si aspetterà poco prima di dirigersi verso il Cavallo. È qui che Giorgio ci palesa la sua idea: io vorrei fare la cresta, non la via normale. Bisognerà arrivare fino a quella sella e poi salire sci in collo con piccozza e ramponi. Venite? Eccomi! rispondo io. Ma Lui no, sceglie di proseguire con gli altri per la via normale. Strano, è un’occasione ghiotta per fare pratica di creste gelate, in vista, un giorno, dell’Oberland. Il versante è quello giusto, il filo di cresta è affilato e pieno di neve, forse è il vento forte a frenarlo? È il suo buon cuore in realtà, la sua generosità e il grande appagamento che gli deriva dall’aiutare gli altri. Ha deciso di rimanere in compagnia di Patrizia, un po' stanca, pure lei alla sua prima gita dell’anno. Allora ci separiamo, Giorgio ed io raggiungiamo la cresta sferzata dal vento, il resto del gruppo prosegue fino in vetta per una più comoda via di salita. Gli aghi di ghiaccio ci frustano il viso, lo arrossano come preso a sberle; il vento è forte da costringerci a fermarci ogni tanto e gli sci tirano i trapezi nella direzione della caduta. Ma è una cresta che vale la pena di salire senza alcun dubbio, senza timori, senza lasciare che i pensieri negativi infrangano la concentrazione. La soddisfazione di arrivare in cima insieme agli altri, di ri-con-giungerci in un anello da noi stessi tracciato, ci riscalda e ci riempie tutti, noi che abbiamo faticato tra neve fonda e vento, loro preoccupati per noi in mezzo a tanto vento già dabbasso. Il Tirreno risplende all’orizzonte, una fetta lucente che sembra sorriderci sotto un manto di nuvole alte. Il rito di vetta, fatto di pacche sulle spalle e abbracci, è insostituibile, necessario a ribadire l’unione, come se ogni volta arrivare in cima sia possibile solo grazie all’apporto di tutti. Sento il suo sguardo addosso e so, lo leggo nella sua espressione un po’ pensierosa, che non vorrebbe nient’altro che una persona con cui condividere anche Lui la sua smisurata passione per la montagna, a cui insegnare pazientemente quello che sa… la sua dama dei crepacci come l’ha chiamata Lui. La discesa, da qui come dal Forcellone che raggiungeremo fra poco, è scelta per me, per me che sto imparando; perché gli amici più esperti si comportano così con i “nuovi”, li curano, li accudiscono, cercano di evitare loro spaventi inutili. E così dopo la neve sbrozzolosa subito sotto la vetta, è un piacere il pendio farinoso che segue. Lui arriva un po’ prima di me, con la sua sciata non fluente ma più “esperta” della mia e la sua forza fisica. Mi guarda scendere e mi dice con enfasi: ma quanto sei migliorata Sara! Sei troppo forte! Che anche la persona più umile del mondo ne trae una forza e una determinazione enormi. Ho fatto la mia prima sci-alpinistica con Lui, il mio primo 4mila con lui, la mia “presentazione in società montanara” a casa sua. Domenica Franco non c’era, ma in realtà c’era, nello sguardo e nei cuori pesanti di tutti noi, nelle lacrime tenute a freno e nei pensieri liberi come l’aria. Il vero addio al Traforato per me è stato questo, la riconciliazione con la montagna e la sua magia, sua ultima grande amica. Ti porteremo sempre con noi Franco. Ciao! Sara 09/02/2010

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