Il trentesimo 4000

Sono stanco e fa freddo alle 5,00 fuori dalla Tracuit Hutte; ancora nevica, c’è nebbia e mi sento consumato da 5 giorni faticosissimi. Ieri altri 1600 metri, in parte sotto la pioggia e la neve, per salire dal paese gioiellino di Zinal al rifugio.

Non ho smaltito il Dom del giorno prima e nemmeno la lunga galoppata alla spalla del Rimpfishorn di pochi giorni fa. Abbiamo tenuto un tabella di marcia impressionante: 10-12 ore al giorno e anche di più; scendere dalla Dom hutte a Randa è stata un’odissea, sembravamo zoppi, curvi sui bastoncini come dei vecchi. Siamo andati a letto senza cena per la stanchezza, una doccetta veloce e siamo stramazzati alle nove di sera. Del resto, quando si comincia a fare a pari o dispari per chi porta le corda ….

A confronto degli svizzeri di queste parti siamo appena sufficienti; tranne un paio di cordate (sensate) che sono rimaste a dormire alla Dom hutte per scendere il giorno dopo, tutti gli altri sono arrivati a Randa prima di noi, anche 4-5 ore prima. Sono abituati ai grandi dislivelli e alle grandi montagne, certamente sono anche più acclimatati.

Ieri la pioggia ci ha in parte salvato: smorzando un po’ gli entusiasmi, ci ha concesso un bel sonno e una sveglia comoda, seguita da una colazione pantagruelica (12 franchi a prezzo fisso) e da una mattinata di trasferimento in auto pigro e sonnolento. Ma oggi sono di nuovo stanco, dopo la sfacchinata pomeridiana per salire al rifugio; mi fanno male i quadricipiti, le spalle, il collo e perfino i tricipiti per il grande sforzo compiuto in discesa nei giorni precedenti.

Le previsioni danno bello per oggi, ma per me è cruciale fare presto per riuscire a tornare a Roma in nottata e prendere l’aereo l’indomani per le vacanze “vere”, con Sara (una follia, lo so, ma a volte le cose non si incastrano in maniera deterministica e bisogna accollarsi un margine di rischio).

Sono a quota 29: in trent’anni di escursionismo/alpinismo potevo fare molto di più, ma ho fatto anche altre cose …. lavoro, un paio di figli, altri sport, altre cime magari di 3900 … quest’idea di collezionare 4000 mi è venuta da poco, negli ultimi 4/5 anni. Quello che ci accingiamo a salire, il Bishorn, è l’ultima cima facile degli ottantadue 4000 ufficiali UIIA. Ho già salito dei PD e dei PD+, ma d’ora in poi, se vorrò continuare la collezione, saranno solo dal PD+ in su.

Col Rimpfishorn ci è andata male, ci siamo ammazzati di fatica solo per arrivare alla spalla; ma ci è andata anche bene perché nessuno si è fatto male su quel terreno molle, reso infido dalla pioggia e pericoloso per la nebbia. E così il “facile” Bishorn per me è diventato più importante, mi serve per arrivare a quota 30 ed assume un significato completamente diverso. Forse, se avessimo raggiunto la vetta del Rimpfishorn, avrei desistito, avrei detto a Stefano che non me la sentivo di farmi l’ennesima ammazzata e che volevo tornare a Roma con un giorno di anticipo per riposarmi e partire senza patemi d’animo.

Ma ora sono qui nel buio e nella nebbia; il fascio luminoso della frontale si esaurisce nel nulla. Alle 5,15 calziamo i ramponi, siamo già sul margine del ghiacciaio e attendiamo pazientemente che l’unico gruppo con la guida ci batta la traccia nei 20 cm di neve nuova della notte.

Albeggia, ma non si vede nulla ugualmente, almeno ha smesso di nevicare; alle 5,30 colpo di scena: la guida torna indietro, non se la senta di attraversare l’iniziale zona piatta e crepacciata del Turtman Gletscher.

Porca vacca … rimaniamo come tonti sul bordo del ghiacciaio, noi due, la coppia di Zurigo, i 3 Cechi, “Father & Son” e la coppia di Tolone; la guida con il suo gruppo se ne torna al rifugio e dice che ci riprova almeno tra un’ora. Mi comincio ad incavolare perché mi va a monte tutto il piano cronometrico che mi ero fatto mentalmente per stare a Roma al massimo a mezzanotte. La rabbia e la luce del giorno, mi scuotono dall’intorpedimento catatonico dal quale la sveglia delle 4,00 non mi aveva strappato.

Mentre gli svizzeri armeggiano con la bussola e i francesi consultano la carta, vedo una leggera schiarita in basso: “Stefano, andiamo, mi sono rotto di tergiversare” e, puntando tutto sulle previsioni e sulla mia buona stella, mi avvio nuovamente sulla traccia del tedesco. Stefano (un santo) allunga la corda e aggancia in cordata anche i due di Tolone per maggior sicurezza.

La mia spavalderia si ammoscia dopo 10 minuti, non appena finisce la traccia; ogni tanto si vede qualcosa, un piatto terreno uniforme completamente ricoperto di neve nuova, solcato da lunghe crepe ortogonali al ghiacciaio, ovvero parallele alla ns. direzione di marcia, visto che lo dobbiamo attraversare verso sinistra.

Me la faccio sotto, ma ormai sono in ballo, ogni tanto schiarisce e vado avanti lentamente sondando il terreno con piccozza e bastoncino; attraverso i crepacci che riesco ad individuare perpendicolarmente alla direzione di marcia con estrema perizia. Gli altri, tutti dietro, nessuno si offre di battere la traccia; ma io ho fretta e ho fiducia, intuisco il sole sopra le nuvole e so che è solo questione di tempo, il vento sta calando e sono le 6,30 ormai.

Quando non vedo mi fermo e gli altri tutti fermi; ma le previsioni svizzere sono infallibili e alle 7,00 finalmente esce un sole caldo, bello e, anche se radente, in pochi minuti scioglie la nebbia. Finiamo di traversare la zona brutta e iniziamo la salita. Mi guardo indietro e sono soddisfattissimo: scusate l’orgoglio, ma ho fatto una traccia da manuale, senza regalare un metro di dislivello al ghiacciaio piatto, ne sono venuto fuori con delle lunghe linee nei corridoi tra i crepacci e brevi attraversamenti dei medesimi nei punti ritenuti meno critici. A guardarlo ora con il sole non è niente di che, facilissimo, ma senza traccia e nella nebbia, sembrava un labirinto.

Gli svizzeri ci passano, hanno più birra nelle gambe, ma non mi importa; so che faremo la cima e che arriveremo a Roma nemmeno troppo tardi; molliamo i francesi più lenti di noi e passa Stefano al comando. Sono lesso e mi faccio perfino tirare un pochino sui lunghi zig zag nella neve polverosa del versante Nord di questa montagna.

La vetta è la cuspide di un seracco inclinato, grande come una palazzina di tre piani; nemmeno cosi facile come dicono. Lo Svizzero ci mette quasi mezzora per liberare lo scivolo finale dai pericolosi lastroni di neve che precipitano verso Randa sulla Nord Est del Weisshorn; che spettacolo questa parete! Abbaglia per la neve immacolata e affascina per la bellezza, la ripidità e l’altezza.

Alle 10,00 ci godiamo il meritato riposo in vetta e poi giù a rotta di collo per il pendio innevato che ci fa coprire 800 m di dislivello in mezzora .. anche senza sci ce la godiamo proprio, finalmente! Riattraversiamo il ghiacciaio e alle 11,30 siamo i primi a rientrare al rifugio; abbiamo incrociato gli sguardi di ammirazione e ricevuto i ringraziamenti di parecchi di quelli che ci hanno seguito …. Che soddisfazione! La guida ha almeno 2 ore di ritardo rispetto a noi e i suoi Clienti arrancano con evidente difficoltà in salita….che soddisfazione! Sul facile Bishorn ci guardano come noi abbiamo guardato quelli che alle 7,00 già scendevano dal Dom!

Tutto il resto non conta, la sofferenza di tre ore per ritornare a Zinal mezzi azzoppati, i dolori al collo e alle braccia per l’uso esagerato dei bastoncini, le due ore di fila al Sempione per i lavori in corso in galleria, la guida notturna a turni di un’ora per minimizzare il rischio di incidenti ….

Contano solo gli sguardi, i “thank you, you’ve done a very good track”, i tre 4000 e mezzo in 6 giorni e quota 30… 30 quattromila in trent’anni. Ma forse, ancor più di tutto, conta l’abbraccio finale di Sara all’una di notte .. in fondo solo con un’ora di ritardo rispetto al previsto :)

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