Un giorno perfetto
Prima di entrare al cinema, ti imbatti nella locandina. Ritrae una famiglia, sorridente, su un prato.
"E' vero", dici a te stesso, "è proprio un giorno perfetto di una famiglia perfetta".
Poi entri, il film inizia, ed è tutto diverso. La famiglia è una famiglia sfasciata, moglie e marito separati; lei, lavoratrice precaria in un call center, che vive con i due figli a casa di sua madre, nell'anonima periferia romana; lui che non si è rassegnato alla fine del loro rapporto, e ne ha fatto un'ossessione.
La profonda dicotomia tra la gaiezza della locandina e la storia terribile narrata nel film è una contraddizione solo apparente: quante volte, al telegiornale, sentiamo delle persone, intervistate dopo l'ennesimo fatto di cronaca nera, ripetere le stesse frasi: "sembravano delle persone così per bene...", "una famiglia così normale..."
Ecco, il film scava proprio dietro l'apparente "normalità" di una società malata, che sotto un velo ipocrita di allegria e spensieratezza, rutilante di suoni, luci e colori, nasconde le peggiori atrocità.
Prima di essere un film, Un giorno perfetto è un libro, di Melania Mazzucco.
Il risultato è un film alquanto diverso dai precedenti lavori di Ozpetek, per questo senso di tragedia immanente che attanaglia lo spettatore fin dall'inizio.
Ma di Ozpetek ritroviamo la maestria, la capacità di scavare a fondo nell'anima dei personaggi, anche attraverso l'uso di primi piani ravvicinati, di lunghi silenzi in cui sono gli occhi a parlare.
E si conferma una volta di più la sua bravura nel tirar fuori la migliore interpretazione dagli attori che dirige, anche da attori di calibro modesto come Isabella Ferrari, o abituati a interpretare personaggi di tutt'altro genere, come Valerio Mastandrea.
Alla storia centrale narrata nel film, fanno da sfondo altre storie minori. E tutti i personaggi delle varie storie, almeno una volta nel corso del film si incontrano tra di loro, spesso in maniera casuale o fugace. Quasi a significare che tutti nostri destini sono inesorabilmente intrecciati, a formare una rete fittissima che potrebbe (dovrebbe) proteggerci dal male di vivere, troppo spesso senza riuscirci.